La Ricompressione Terapeutica Ultima parte

Ossigeno già ai primi sintomi

Dalle varie ricerche svolte nel corso degli ultimi anni e dalle indicazioni che ne scaturiscono, viene sicuramente considerato valido da tutti gli studiosi il supporto terapeutico immediato con ossigeno al 100% al primo comparire dei sintomi, mentre già si organizza il trasporto del paziente alla camera iperbarica.

Bisognerà poi mantenere la temperatura corporea, monitorare il paziente e, se cosciente, si possono somministrare liquidi (acqua, succo di frutta, bevande con elettroliti bilanciati).

Il miglior metodo per la somministrazione di ossigeno è tramite bombola collegata ad un erogatore “a richiesta”, cioè che fornisca il gas solo quando il paziente inspira volontariamente.

Il sistema a “flusso continuo” (ancora molto diffuso) può anch’esso raggiungere lo scopo ma è sicuramente meno efficace in quanto la percentuale di ossigeno inspirato è inferiore al 100% ed ha lo svantaggio di esaurire prima la scorta di gas.

Gli schemi di primo soccorso con ossigeno possono essere attuati con successo da chiunque sia stato opportunamente addestrato.

L’ossigeno svolge due importantissime funzioni quando somministrato puro:

  • “spiazza” l’azoto, favorendone l’eliminazione da parte dell’organismo,
  • raggiunge più efficacemente le zone “sofferenti”, riducendo le possibili lesioni.

I dati finora disponibili circa il trattamento di primo soccorso con ossigeno sembrano confermare l’efficacia del sistema in quanto nella maggior parte dei casi si sono riscontrati significativi miglioramenti della sintomatologia già durante il trasporto in camera iperbarica ed il successivo trattamento ricompressivo ha avuto una maggior percentuale di successi.

Ricompressione in acqua? No, grazie

Fino a qualche anno fa veniva comunemente praticata la “ricompressione in acqua” soprattutto per la scarsa disponibilità di strutture atte al trattamento e per le ancora insufficienti conoscenze sui vantaggi dell’impiego dell’ossigeno puro.

Con questo sistema si tentava di ridurre i sintomi di PDD riportando immediatamente il subacqueo in immersione, ma attualmente questa procedura è assolutamente da evitare per tutta una serie di ottimi motivi:

  • innanzitutto non è sicuramente facile, in quelle condizioni, ritornare ad una profondità tale da dare effettivamente sollievo ai sintomi,
  • si potrebbe peggiorare la situazione (altro azoto viene comunque ulteriormente assorbito),
  • si renderebbe drammatico e talvolta impossibile un eventuale immediato intervento per il supporto della vita del paziente,
  • si ritarderebbe ulteriormente la somministrazione di ossigeno puro ed il trasporto in una struttura più idonea.

Sicuramente meglio, invece, si rivela l’aver approntato in precedenza un piano di emergenza con in evidenza gli opportuni contatti (numero di telefono della Capitaneria di Porto, della struttura in grado di somministrare ossigeno e della camera iperbarica più vicina e funzionante etc.), che renderà un eventuale soccorso più agevole, tempestivo ed efficace.

About Sergio Discepolo

Giornalista pubblicista, Underwater photographer, filmaker, freelance. Un passato (lontano) da Marketing Manager nel settore farmaceutico, poi una vita dedicata al mare o, meglio, il mare che mi ha fatto vivere la vita...

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