Meraviglie della natura all’Oasi di S. Alessio

Rana freccia (Dendrobates azureus)  © Manuela Bonacina

Rana freccia (Dendrobates azureus)
© Manuela Bonacina

America Centrale? Caraibi? Foresta pluviale Amazzonica? Africa orientale?

Macché, Oasi di S. Alessio (Pavia), ad appena una trentina di chilometri dal centro di Milano!!!

A meno di un’ora dalla caotica metropoli si trova infatti uno dei parchi naturalistici più piccoli d’Europa, almeno quanto ad estensione e numero di visitatori, ma anche il più visitato del nostro continente, e il terzo nel mondo, dai fotografi naturalisti.

E’ stata una scoperta tanto casuale quanto felice, perché l’oasi non è per niente pubblicizzata per scelta dei suoi fondatori Harry ed Antonia Salamon, coadiuvati dal figlio Giulio, persone dotate di profonda cultura e squisita ospitalità.

Pur essendo un appassionato naturalista (chi mi conosce sa che mi occupo quasi esclusivamente di ambienti marini) non ne avevo mai sentito parlare  ma, come raramente accade nella vita reale (la più accurata delle programmazioni non vale quanto una bella botta di culo!) mi ci sono imbattuto per caso: avevo infatti provato una birra artigianale prodotta nei pressi di Pavia, la Balmar, che è proprio di mio gusto e ne cercavo in rete la sede per avere notizie su come poterne comprare un po’; durante la ricerca mi imbatto nelle immagini scattate nell’Oasi di S. Alessio ed è stato amore a prima vista: l’indomani mattina ero già lì.

L’Oasi non è uno zoo né un safari park, ma un parco faunistico dedicato alla flora e alla fauna, dalla Pianura Padana alla foresta pluviale; un laboratorio naturalistico a cielo aperto, un vasto giardino che consente a chi ama la natura di entrare in contatto ravvicinato con alcuni dei suoi fenomeni più intimi senza infastidire le popolazioni di animali selvatici, senza doversi sottoporre ad addestramenti particolari o ad estenuanti attese e senza necessariamente possedere attrezzature e conoscenze che sono prerogativa di pochi professionisti.

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L’oasi è composta da camminamenti nascosti che consentono di penetrare nel cuore della garzaia (così si chiama, in gergo, la nidificazione coloniale degli Aironi) e di giungere non visti vicino al martin pescatore e al picchio rosso, o a pochi metri dai fenicotteri, dalle cicogne, dai mignattai, dagli scoiattoli, tutti animali liberi e selvatici, come decine e decine di altre specie, invertendo in pratica il concetto di parco faunistico e creando un reticolo di strutture in cui è il visitatore, ingabbiato e nascosto, ad avvicinarsi per poter spiare la natura selvaggia e la bellezza di questo territorio dove con pazienza e perizia sono state ricostruite, almeno in parte, le catene alimentari e le relazioni fra specie spazzine o predatrici che in natura convivono e interagiscono replicando, per quanto possibile, quella situazione di apparente e temporanea convivenza che la semplificazione divulgativa denomina “equilibrio ecologico“.

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Tunnel dotati di finestrelle, sentieri coperti di stuoie di canna per attutire il rumore dei passi, vetri specchiati.
E il risultato è spettacolare: migliaia di coppie di uccelli selvatici scelgono, ogni primavera, di nidificare nell’Oasi.
In tarda primavera, quando in meno di mezzo ettaro si possono ammirare forse duemila Aironi, la mente corre ai grandi spettacoli naturali delle paludi d’Africa.

Lo scopo principale dell’Oasi è quello di far riprodurre specie in pericolo, per poi liberarle in natura ed è così che  L’Oasi ha già rilasciato quasi 700 esemplari  di Cicogna bianca e circa 250 Cavalieri d’Italia.

Altre specie allevate e reintrodotte sistematicamente, talvolta per la prima volta in Italia, includono: Il Tuffetto, il Gheppio, l’Upupa, il Gruccione, molte specie di Anatre selvatiche, le Oche selvatiche e poi il Falco pellegrino, il Martin pescatore (l’Oasi è stata la prima al mondo a farlo riprodurre in cattività), la Spatola, il Mignattaio, lo Scoiattolo rosso, la Gru europea, mentre altre specie allevate ma non ancora giunte alla fase del rilascio, se non occasionale, sono l’Avocetta ed il falco lanario.

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L’oasi di Sant’Alessio è visitabile da marzo ad ottobre e comprende due diversi percorsi:

–         Le Zone Umide Europee (il fiume, la palude, il bosco)

–         La Foresta Pluviale Amazzonica

Da segnalare la sorprendente ricostruzione dell’ambiente tropicale, dove è possibile osservare da vicino splendide farfalle che volano tra colorati colibrì [1], la serra delle piante tropicali, uno scorcio di sottobosco ed il tunnel sotterraneo, che passa attraverso una serie di stagni, dove tramite vetri a specchio è possibile osservare la vita delle lontre, dei pesci, delle piante acquatiche e di una coppia di castori europei che lo scorso anno ha dato alla luce tre piccoli.

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Quest’oasi alle porte di Milano è davvero un piccolo Eden, soprattutto per i bambini e per coloro che finora hanno potuto vedere queste specie solo in fotografia.

A proposito di foto vorrei anche segnalare “I Segreti Dell’Oasi”, un libro edito da Rizzoli con i testi di Harry Salamon, oltre 200 foto a colori di appassionati naturalisti e la prefazione di Ermanno Olmi, da cui sono state tratte gran parte delle informazioni che ho riportato.

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Per maggiori informazioni sull’Oasi, la sua storia ed i suoi meravigliosi abitanti è possibile visitare il sito http://www.oasisantalessio.org/

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[1] Nel giardino delle farfalle vengono allevate anche le Caligo che in Sudamerica rappresentano il flagello principale delle coltivazioni di banani, divorati dal loro bruco. Nell’Oasi è stato scoperto che vi sono piante affini al banano, in particolare alcune Strelitzie ed alcune Eliconie, che le Caligo preferiscono di gran lunga per l’allevamento delle larve. Se questa osservazione sarà, come probabile, reiterata in natura, ne nascerà una possibilità più economica e meno inquinante di lotta contro la farfalla: poche siepi di Strelitzie o Eliconie, potrebbero attirare le deposizioni di Caligo che verrebbero quindi aggredite con irrorazioni più mirate e meno abbondanti di insetticidi. Merita ricordare che gli antiparassitari impiegati nella bananicoltura, sono i principali responsabili della perdita della barriera corallina sulle coste caraibiche del Centro America!

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About Sergio Discepolo

Giornalista pubblicista, Underwater photographer, filmaker, freelance. Un passato (lontano) da Marketing Manager nel settore farmaceutico, poi una vita dedicata al mare o, meglio, il mare che mi ha fatto vivere la vita...

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