Immergersi alle varie profondità parte 1

Fino a non molti anni fa la subacquea veniva considerata uno sport molto arduo, adatto unicamente a quelle poche persone dotate di grande acquaticità, elevata resistenza fisica e soprattutto tanta, tanta passione.

I motivi, in effetti, c’erano tutti: l’inadeguatezza, la scarsità e gli elevati costi delle attrezzature allora disponibili contribuiva a rendere le immersioni faticose e di difficile programmazione, roba da “elite”, insomma. Fino alla metà degli anni ’80, ad esempio, in Italia il GAV trovava pochi adepti, gli erogatori a disposizione erano piuttosto “duri” alla respirazione, al posto del manometro era ancora utilizzata l’astina della riserva, il computer non era al momento uno strumento disponibile o comunque considerato affidabile… e se a ciò aggiungiamo anche la carenza delle strutture di assistenza e la scarsezza delle conoscenze medico-subacquee dell’epoca, avremo un quadro alquanto completo anche della pericolosità allora insita in quest’attività.

Quando, nel pieno di questa situazione, giunsero in Italia i primi corsi tenuti dalle didattiche americane che proclamavano a gran voce quanto fosse semplice andare sott’acqua, viene facilmente da comprendere perché gli “addetti ai lavori” del tempo rimasero alquanto allibiti e sconcertati dal fatto che in una sola settimana si potesse ottenere (e soprattutto rilasciare) un brevetto sub.

Bisogna tener presente anche un altro fattore: se in America la tecnologia era già più avanzata e si pensava alla subacquea in termini di marketing, anche le abitudini subacquee d’oltreoceano erano decisamente diverse da quelle nostrane.

In effetti, i corsi di una settimana abilitavano sì ad andare sott’acqua, ma entro un ben determinato limite di profondità, i 18 metri, mentre qui da noi era uso comune, vuoi perché la morfologia del nostro mare lo richiedeva e vuoi soprattutto per una radicata mentalità tendente alla competizione, che le immersioni si svolgessero, anche nel caso dei principianti, per la maggior parte oltre  i  40 metri.

Del resto, noi italiani eravamo piuttosto famosi anche all’estero per essere dei “profondisti” che non si accontentavano delle immersioni programmate dalle guide locali, ma cercavano sempre e comunque qualche buon motivo per andare più giù.

Anche i neo-brevettati si ritrovavano molto spesso e quasi senza neanche accorgersene ad impegnarsi in situazioni per cui non avevano ancora ricevuto un adeguato addestramento e ci si ritrovava già, appena dopo il corso di base, a fare le prime immersioni oltre i40 metri, spesso senza una guida o un attento ed esperto istruttore, ma semplicemente con un compagno occasionale a volte neanche molto più esperto.

Questo modo di interpretare la subacquea negli ultimi anni è totalmente cambiato sia per le nuove conoscenze tecniche che hanno permesso in pochissimi anni un incredibile passo avanti nel campo delle attrezzature rendendo la subacquea un’attività sicuramente molto più semplice e sicura, sia proprio per una maggiore diffusione ed equiparazione delle didattiche che hanno definito e diffuso il concetto di limiti di profondità ben precisi a seconda del tipo di brevetto acquisito: 18 mt. per il corso di base, 30 mt. per il secondo ed i successivi livelli, 40 mt. come limite assoluto dell’immersione ricreativa.

Che cosa cambia alle varie profondità? Quali sono i motivi per cui l’andare entro i 18 mt. è così diverso dall’affrontare un’immersione oltre i 30?

Continua…

About Sergio Discepolo

Giornalista pubblicista, Underwater photographer, filmaker, freelance. Un passato (lontano) da Marketing Manager nel settore farmaceutico, poi una vita dedicata al mare o, meglio, il mare che mi ha fatto vivere la vita...

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