FACCENDE DI CUORE (ultima parte)

Prolasso della mitrale

Il prolasso della valvola mitrale è una condizione medica che si può riscontrare nel 5-7% della popolazione; sebbene sia così frequente, la sua causa non è attualmente nota.

Si verifica più sovente nelle donne.  In taluni casi sembra avere una familiarità e spesso compare in persone senza altre patologie cardiache; la cosa confortante è che gli studi scientifici finora condotti non hanno dimostrato, nelle persone affette da questa alterazione, un maggior rischio di successivi problemi cardiovascolari.

La mitrale è quella valvola, costituita da due lembi, posta tra atrio sinistro e ventricolo sinistro; il suo compito è quello di aprirsi e chiudersi in sincronia con le contrazioni del muscolo cardiaco per permettere al sangue di fluire sotto la spinta indotta dal cuore in un’unica direzione (dall’atrio al ventricolo e successivamente dal ventricolo verso la periferia).

Un prolasso della valvola indica che uno o entrambi i lembi sono allargati ed invece di chiudersi completamente, essi tendono a collassare nell’atrio, permettendo talvolta un lieve rigurgito di sangue nell’atrio stesso.

Questi movimenti determinano un distinto “click”, cioè un rumore che può essere ben percepito all’auscultazione con lo stetoscopio; in molti casi, infatti, la prima diagnosi di prolasso della mitrale viene fatta proprio in seguito all’identificazione di questo suono.

Solo eccezionalmente il prolasso può determinare una condizione nota come insufficienza mitralica e ciò accade quando la quantità di sangue che refluisce nell’atrio è significativamente maggiore e quindi determina la comparsa di difficoltà respiratorie (fiato corto) e di eccessiva affaticabilità, condizione che peraltro necessita di specifico trattamento farmacologico.

La diagnosi è semplice da effettuare: dal sospetto indotto dalla presenza del “click” all’auscultazione, si passa alla conferma diagnostica con un esame ecocardiografico che potrà anche evidenziare e quantificare l’entità del rigurgito di sangue nell’atrio.

Normalmente questa alterazione non causa alcun disturbo; tuttavia sembra che le persone con prolasso della mitrale abbiano una latente instabilità del sistema nervoso autonomo e cioè di quel sistema che regola alcune funzioni del corpo sulle quali noi non abbiamo alcun controllo volontario come la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, l’attività gastro-intestinale ed altro ancora.

Questa instabilità può determinare, in seguito ad una situazione di stress, un eccessivo rilascio di catecolamine che provoca la comparsa di una serie di sintomi non gravi ma alquanto fastidiosi come vertigini, cefalea, disturbi della concentrazione e del sonno e talvolta anche dolore toracico, palpitazioni e affanno; questi ultimi possono frequentemente indurre il paziente a temere un attacco cardiaco in corso.

In realtà non si tratta di un infarto, bensì di un attacco di panico che a volte compare anche senza alcun motivo scatenante.

Coloro che sperimentano questi sintomi potrebbero non essere perfettamente idonei all’attività subacquea, in quanto un imprevedibile ed acuto attacco di panico sott’acqua potrebbe rivelarsi alquanto pericoloso.

Al contrario, se il prolasso non è accompagnato da particolare sintomatologia, la sua presenza non incide sull’immersione; l’esercizio fisico in questi casi non è controindicato, anzi si è rivelato una delle migliori terapie per ridurre le manifestazioni neurovegetative sopra menzionate, attacchi di panico compresi.

Foramen ovale pervio (PFO)

Un’altra malformazione che sembra essere abbastanza frequente nella popolazione, anche se spesso è misconosciuta, è la persistenza di un’apertura nella parete del cuore che, fisiologica in gestazione, non si chiude totalmente dopo la nascita.

Tale unione, però, non si verifica in circa il 30% della popolazione totale; in questi casi l’occlusione del foro viene mantenuta dalla differenza di pressione che è normalmente presente tra i due atri e che spinge il lembo contro i bordi del foramen ovale.

La persistenza del foramen ovale pervio può non impedire completamente il passaggio di sangue dalla parte sinistra del cuore verso quella destra, tuttavia questo shunt (passaggio) non causa particolari problemi tant’è che molto spesso questa condizione viene casualmente riscontrata ad un esame ecocardiografico eseguito per tutt’altri motivi.

Raramente si verifica invece il passaggio opposto (destra-sinistra), quando l’apertura è abbastanza larga, ed in questi casi è possibile che compaia una sintomatologia quale una ridotta capacità di affrontare sforzi fisici.

Durante l’attività subacquea, ed in particolare quando si effettua la manovra di Valsalva, utilizzata dalla maggior parte dei subacquei per ottenere la compensazione durante la discesa, oppure in caso di tosse o vomito, si può verificare un aumento della pressione venosa nell’atrio destro fino al punto da permettere al sangue venoso di giungere direttamente all’atrio sinistro, e quindi al circolo arterioso, saltando il passaggio attraverso i polmoni.

In tali condizioni le bolle di azoto presenti nel sangue venoso al termine di immersioni anche non particolarmente impegnative potranno non essere filtrate attraverso i polmoni ed arrivare direttamente al sistema nervoso centrale tramite il circolo arterioso, provocando segni e sintomi di malattia da decompressione (MDD) anche in situazioni non particolarmente a rischio.

Per questo motivo sono stati condotti appositi studi per verificare l’entità del rischio di MDD in subacquei portatori di tale malformazione.

L’analisi della letteratura medica sui casi di incidente associati alla persistenza del foramen ovale pervio condotta dal Prof. F. Bove, primario cardiologo della Temple University di Filadelfia, su circa 1400 casi ha evidenziato che effettivamente esiste un aumentato rischio di MDD in individui portatori di questa apertura ma tuttavia non così significativo da consigliare a tutti coloro che fanno immersioni un esame cardiologico più approfondito per poter individuare l’eventuale malformazione.

Tuttavia un qualunque errore come un’eccessiva velocità di risalita, piuttosto che l’esecuzione di profili di immersioni che inducono una maggior formazione di bolle possono comportare sicuramente un rischio più elevato proprio in questa categoria di persone.

Altri studi ancor più approfonditi sono comunque tuttora in corso per ottenere maggiori dati e soprattutto per verificare se, come è stato ipotizzato, il rischio sia associato ad una particolare morfologia della pervietà piuttosto che alle sue dimensioni specifiche.

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About Sergio Discepolo

Giornalista pubblicista, Underwater photographer, filmaker, freelance. Un passato (lontano) da Marketing Manager nel settore farmaceutico, poi una vita dedicata al mare o, meglio, il mare che mi ha fatto vivere la vita...

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